Terramia
Marche, terra di confine.
Qui il tempo sembra scorrere lento, quasi fermo.
Se da uno dei tanti borghi siti su di un colle, apri una finestra, da li potrai scorgere un paesaggio che si dipana tra le linee disegnate dai dolci pendii collinari, un microcosmo endemico in cui ritrovare la nostalgia dell'infanzia, li tra le pieghe delle colline, fra il verde dei campi, il marrone delle zolle, tra i filari dei vigneti, e li dove gli ulivi, quando soffia il vento, diventano di un verde cangiante, argenteo. Di fronte a tutto ciò puoi cogliere il silenzio che da piccolo sentivi sperduto nella campagna.
Si, una regione di campagna, bellissima, ravvolta tra boschi e spiaggie.
Chi nasce in questa regione, spesso condannato alla diaspora, porta con se un mito nostalgico della propria terra.
Chi rimane, vive sempre teso a cogliere il trapasso delle stagioni e gli infiniti riflessi di una vita collettiva tutta esposta, vissuta per le strade, nelle piazze, nel "caffè sport", nel circolo Acli, nei vicoli di sanpietrini umidi in inverno roventi in estate e una vita solitaria, vissuta tra le cime, le vallate, le gole gli altopiani dei monti azzurri, in "quel lontano mar". Potente e imponente, simbolo della forza della terra e del mistero della natura. Una natura che ti permette di ritrovare te stesso, ti culla, ti fa sognare con i suoi colori, li al confine con il cielo e poi ti abbatte, ti ferisce, ti fa diventare un esule, un ramingo, quasi come volesse far diventare il popolo che vive al suo cospetto, adulto e libero di andare per la sua strada, alla conquista di nuove terre. Ma ogni marchigiano esule e ramingo, da secoli, cova in se l'ambiguo sentimento di odio-amore verso il "natio borgo selvaggio" e brama il ritorno alla vita lenta ma profonda della provincia, del borgo, della piazza, della campagna, della montagna, dove il confronto con la realtà è almeno genuino, dove il tempo è scandito dai riti religiosi, dalle ricorrenze dei santi, dall'odore aspro e inebriante del vino nuovo che allieta l'umore dei paesani del borgo e si mescola al sapore acre del mare portato dal vento dell'est, chiuso li fra le sue mura e le sue colline ad ascoltare le proprie voci, a distillare da decenni i motivi dolenti dell'esistere.
Patria della memoria.
Il panorama che la circonda una visione
Un ringraziamento particolare a Laura Giustozzi per i testi
Read MoreQui il tempo sembra scorrere lento, quasi fermo.
Se da uno dei tanti borghi siti su di un colle, apri una finestra, da li potrai scorgere un paesaggio che si dipana tra le linee disegnate dai dolci pendii collinari, un microcosmo endemico in cui ritrovare la nostalgia dell'infanzia, li tra le pieghe delle colline, fra il verde dei campi, il marrone delle zolle, tra i filari dei vigneti, e li dove gli ulivi, quando soffia il vento, diventano di un verde cangiante, argenteo. Di fronte a tutto ciò puoi cogliere il silenzio che da piccolo sentivi sperduto nella campagna.
Si, una regione di campagna, bellissima, ravvolta tra boschi e spiaggie.
Chi nasce in questa regione, spesso condannato alla diaspora, porta con se un mito nostalgico della propria terra.
Chi rimane, vive sempre teso a cogliere il trapasso delle stagioni e gli infiniti riflessi di una vita collettiva tutta esposta, vissuta per le strade, nelle piazze, nel "caffè sport", nel circolo Acli, nei vicoli di sanpietrini umidi in inverno roventi in estate e una vita solitaria, vissuta tra le cime, le vallate, le gole gli altopiani dei monti azzurri, in "quel lontano mar". Potente e imponente, simbolo della forza della terra e del mistero della natura. Una natura che ti permette di ritrovare te stesso, ti culla, ti fa sognare con i suoi colori, li al confine con il cielo e poi ti abbatte, ti ferisce, ti fa diventare un esule, un ramingo, quasi come volesse far diventare il popolo che vive al suo cospetto, adulto e libero di andare per la sua strada, alla conquista di nuove terre. Ma ogni marchigiano esule e ramingo, da secoli, cova in se l'ambiguo sentimento di odio-amore verso il "natio borgo selvaggio" e brama il ritorno alla vita lenta ma profonda della provincia, del borgo, della piazza, della campagna, della montagna, dove il confronto con la realtà è almeno genuino, dove il tempo è scandito dai riti religiosi, dalle ricorrenze dei santi, dall'odore aspro e inebriante del vino nuovo che allieta l'umore dei paesani del borgo e si mescola al sapore acre del mare portato dal vento dell'est, chiuso li fra le sue mura e le sue colline ad ascoltare le proprie voci, a distillare da decenni i motivi dolenti dell'esistere.
Patria della memoria.
Il panorama che la circonda una visione
Un ringraziamento particolare a Laura Giustozzi per i testi